REPORTAGETra
le favelas di Salvador de Bahia l'AVSI accende una speranza. Con l'aiuto della Farnesina e
della Lombardia
Nella città degli ultimi tra gli ultimi
A Novos Algados, baraccopoli
dove la miseria regna sovrana e la vita vale ben poco
Dall'inviato
SALVADOR DE BAHIA La vita sospesa su una fogna a cielo aperto. La
città degli ultimi tra gli ultimi è una successione di precarie baracche in legno
costruite sull'acqua che ristagna ai bordi di un'insenatura.
Intorno c'è Novos Algados, quartiere povero di Salvador de Bahia. Nelle favelas ci arrivi
dopo aver percorso il viale suburbano, che segna il confine tra il benessere e la miseria
più nera. Di qua centri commerciali e alberghi a cinque stelle, di là una successione
inquietante di vicoli polverosi e costruzioni di fortuna, case a un piano degradate o
palafitte sulla baia.
A Salvador il 45% dei due milioni e mezzo di residenti dell'area urbana vive sotto la
soglia di povertà. Famiglie con 4 o 5 figli, hanno 150 real (150 mila lire) per arrivare
alla fine del mese, il ricavato di lavori saltuari. Una volta al giorno sulla tavola
arrivano riso e fagioli. Ma la denutrizione non è il rischio peggiore. Ogni tanto capita
che le passerelle di legno marcio che segnano il passaggio tra le baracche si lascino
andare: sprofondando, c'è chi muore infilzato nei pali o affogato nell'acqua stagnante
sotto le palafitte. La favela di Novos Algados offre un'infinità di storie tragiche, che
spesso hanno per vittime i bambini: sono moltissimi, girano a piedi scalzi tra la polvere
e i rifiuti e quando li incontri ti inchiodano con uno sguardo implorante, allungando la
mano per chiedere una moneta. La cappa di afa e umidità che ricopre questo inferno
urbano, rende le condizioni di vita ancora meno sopportabili. Le parole non possono
descrivere gli odori che salgono dal liquame sotto le palafitte.
Ma c'è anche una storia bella in questa antologia disperata. I protagonisti sono medici,
insegnanti, architetti e ingegneri delle organizzazioni non governative (ong) che nelle
favelas condividono miserie e speranze dei poveri. Hanno scelto di rispondere a una
domanda di aiuto con le opere, non con la sterile contestazione al sistema che ha generato
questa miseria. Queste sono ragioni che semmai dovrebbero interrogare la coscienza di chi
governa il mondo: come si può tollerare un tale scempio di umanità?
A invertire la rotta nella favela di Salvador, ci sta provando anche l'AVSI (Associazione
volontari per il servizio internazionale) che è presente in 32 paesi, in Brasile dal
1982. A Novos Algados l'organizzazione non governativa (ong) italiana in collaborazione
con altri enti ha avviato un progetto in due tappe di recupero ambientale e promozione
sociale - voluto dal governo dello stato di Bahia e su invito della Chiesa locale - in
un'area abitata da 14 mila persone (3 mila 500 famiglie, il 10% di tutto il quartiere; il
40 per cento nelle palafitte) che non hanno accesso ai servizi pubblici cittadini (asili,
scuole, ospedali) e presentano bassissimi livelli di alfabetizzazione. Con l'intervento
urbanistico vengono rimosse le palafitte (già eliminate da una lato della baia),
costruite case nuove e ristrutturate quelle vecchie. La parte dello sviluppo sociale ha
invece dato corso a interventi nel campo dell'educazione, della formazione, del sostegno
alla creazione di piccole imprese e dell'inserimento nel mercato del lavoro. Le opere -
sono stati investiti sei miliardi di lire a Novos Algados - sono finanziate da istituzioni
internazionali (come la Banca mondiale e l'Unione europea), nazionali (tra cui il
ministero degli Esteri italiano, la Regione Lombardia, la Conferenza episcopale italiana e
il governo di Bahia) e da privati. Nel quartiere è nato un asilo e il Centro educativo
Giovanni Paolo II. Ogni iniziativa è portata avanti coinvolgendo direttamente la
popolazione, che diventa protagonista del cambiamento. Dice Pina Gallicchio, medico,
napoletana, da cinque anni in Brasile con l'AVSI: «Non siamo qui per dare istruzioni, ma
per capire e rispondere alle difficoltà delle persone, che sono al centro della nostra
azione. L'80% della popolazione qui è di origine africana ed ha usi e costumi molto
diversi dai nostri. È una lavoro difficile, in un contesto di miseria: ma non vengo mai
colta dal pessimismo o dalla disperazione. La realtà è più grande di noi e capisci che
da sola non puoi fare niente. Non sono qui a fare l'eroina».
La delegazione lombarda che ha visitato il Brasile, ha fatto tappa anche nella favelas di
Novos Algados. Il presidente Roberto Formigoni e l'ambasciatore italiano in Brasile
Vincenzo Petrone hanno consegnato a 120 alunni i diplomi dei corsi di formazione
professionale - per la manutenzione di edifici, la realizzazione di pavimenti in mosaico e
l'insegnamento all'asilo - finanziati dalla Regione Lombardia nell'ambito di un progetto
di sostegno dell'occupazione. Nella sala dove si è tenuta la cerimonia, erano in mostra i
mosaici realizzati dai ragazzi. Tradiscono un senso artistico e una capacità manuale che
oggi sono sprecati nella miseria delle favelas, luoghi che inghiottono un capitale umano
consistente: e forse questo è uno dei più gravi delitti perpetrati dalla povertà. Per
prevenirlo, padre Clodoveo Piazza, milanese, presidente dell'Organizzazione dell'ausilio
fraterno (Oaf) ha costruito una fabbrica per la realizzazione di banchi e sedie per le
scuole di Bahia che dà lavoro a 200 giovani, con un reparto dedicato alle confezioni e un
altro alla grafica. Sempre l'Oaf ha aperto una casa che ospita 80 bambini abbandonati,
mentre ha in cantiere la costruzione di una scuola per 250 ragazzi.
Per centinaia di bambini la speranza di uscire dalle favelas passa da questi progetti. La
vita indegna di oggi non ha cancellato la speranza e sui loro volti ogni tanto si apre un
sorriso. Che cosa desiderano, lo dicono i disegni appesi alle pareti del Centro di
educazione Giovanni Paolo II: una casa in mattoni con il tetto e le finestre, un prato, il
sole. Agli italiani in visita alla favela, Mario Gordhilo, presidente del Conder,
l'agenzia dello stato di Bahia che si occupa di sviluppo, ha lasciato un compito:
«Continuate a collaborare con noi perché l'allegria possa tornare nel nostro popolo».
Andrea Valesini
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