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Domenica 10 dicembre 2000

L'Eco di Bergamo

Tratto da pagina 4


REPORTAGETra le favelas di Salvador de Bahia l'AVSI accende una speranza. Con l'aiuto della Farnesina e della Lombardia
   

Nella città degli ultimi tra gli ultimi
A Novos Algados, baraccopoli dove la miseria regna sovrana e la vita vale ben poco

Dall'inviato
SALVADOR DE BAHIA La vita sospesa su una fogna a cielo aperto. La città degli ultimi tra gli ultimi è una successione di precarie baracche in legno costruite sull'acqua che ristagna ai bordi di un'insenatura.
Intorno c'è Novos Algados, quartiere povero di Salvador de Bahia. Nelle favelas ci arrivi dopo aver percorso il viale suburbano, che segna il confine tra il benessere e la miseria più nera. Di qua centri commerciali e alberghi a cinque stelle, di là una successione inquietante di vicoli polverosi e costruzioni di fortuna, case a un piano degradate o palafitte sulla baia.
A Salvador il 45% dei due milioni e mezzo di residenti dell'area urbana vive sotto la soglia di povertà. Famiglie con 4 o 5 figli, hanno 150 real (150 mila lire) per arrivare alla fine del mese, il ricavato di lavori saltuari. Una volta al giorno sulla tavola arrivano riso e fagioli. Ma la denutrizione non è il rischio peggiore. Ogni tanto capita che le passerelle di legno marcio che segnano il passaggio tra le baracche si lascino andare: sprofondando, c'è chi muore infilzato nei pali o affogato nell'acqua stagnante sotto le palafitte. La favela di Novos Algados offre un'infinità di storie tragiche, che spesso hanno per vittime i bambini: sono moltissimi, girano a piedi scalzi tra la polvere e i rifiuti e quando li incontri ti inchiodano con uno sguardo implorante, allungando la mano per chiedere una moneta. La cappa di afa e umidità che ricopre questo inferno urbano, rende le condizioni di vita ancora meno sopportabili. Le parole non possono descrivere gli odori che salgono dal liquame sotto le palafitte.
Ma c'è anche una storia bella in questa antologia disperata. I protagonisti sono medici, insegnanti, architetti e ingegneri delle organizzazioni non governative (ong) che nelle favelas condividono miserie e speranze dei poveri. Hanno scelto di rispondere a una domanda di aiuto con le opere, non con la sterile contestazione al sistema che ha generato questa miseria. Queste sono ragioni che semmai dovrebbero interrogare la coscienza di chi governa il mondo: come si può tollerare un tale scempio di umanità?
A invertire la rotta nella favela di Salvador, ci sta provando anche l'AVSI (Associazione volontari per il servizio internazionale) che è presente in 32 paesi, in Brasile dal 1982. A Novos Algados l'organizzazione non governativa (ong) italiana in collaborazione con altri enti ha avviato un progetto in due tappe di recupero ambientale e promozione sociale - voluto dal governo dello stato di Bahia e su invito della Chiesa locale - in un'area abitata da 14 mila persone (3 mila 500 famiglie, il 10% di tutto il quartiere; il 40 per cento nelle palafitte) che non hanno accesso ai servizi pubblici cittadini (asili, scuole, ospedali) e presentano bassissimi livelli di alfabetizzazione. Con l'intervento urbanistico vengono rimosse le palafitte (già eliminate da una lato della baia), costruite case nuove e ristrutturate quelle vecchie. La parte dello sviluppo sociale ha invece dato corso a interventi nel campo dell'educazione, della formazione, del sostegno alla creazione di piccole imprese e dell'inserimento nel mercato del lavoro. Le opere - sono stati investiti sei miliardi di lire a Novos Algados - sono finanziate da istituzioni internazionali (come la Banca mondiale e l'Unione europea), nazionali (tra cui il ministero degli Esteri italiano, la Regione Lombardia, la Conferenza episcopale italiana e il governo di Bahia) e da privati. Nel quartiere è nato un asilo e il Centro educativo Giovanni Paolo II. Ogni iniziativa è portata avanti coinvolgendo direttamente la popolazione, che diventa protagonista del cambiamento. Dice Pina Gallicchio, medico, napoletana, da cinque anni in Brasile con l'AVSI: «Non siamo qui per dare istruzioni, ma per capire e rispondere alle difficoltà delle persone, che sono al centro della nostra azione. L'80% della popolazione qui è di origine africana ed ha usi e costumi molto diversi dai nostri. È una lavoro difficile, in un contesto di miseria: ma non vengo mai colta dal pessimismo o dalla disperazione. La realtà è più grande di noi e capisci che da sola non puoi fare niente. Non sono qui a fare l'eroina».
La delegazione lombarda che ha visitato il Brasile, ha fatto tappa anche nella favelas di Novos Algados. Il presidente Roberto Formigoni e l'ambasciatore italiano in Brasile Vincenzo Petrone hanno consegnato a 120 alunni i diplomi dei corsi di formazione professionale - per la manutenzione di edifici, la realizzazione di pavimenti in mosaico e l'insegnamento all'asilo - finanziati dalla Regione Lombardia nell'ambito di un progetto di sostegno dell'occupazione. Nella sala dove si è tenuta la cerimonia, erano in mostra i mosaici realizzati dai ragazzi. Tradiscono un senso artistico e una capacità manuale che oggi sono sprecati nella miseria delle favelas, luoghi che inghiottono un capitale umano consistente: e forse questo è uno dei più gravi delitti perpetrati dalla povertà. Per prevenirlo, padre Clodoveo Piazza, milanese, presidente dell'Organizzazione dell'ausilio fraterno (Oaf) ha costruito una fabbrica per la realizzazione di banchi e sedie per le scuole di Bahia che dà lavoro a 200 giovani, con un reparto dedicato alle confezioni e un altro alla grafica. Sempre l'Oaf ha aperto una casa che ospita 80 bambini abbandonati, mentre ha in cantiere la costruzione di una scuola per 250 ragazzi.
Per centinaia di bambini la speranza di uscire dalle favelas passa da questi progetti. La vita indegna di oggi non ha cancellato la speranza e sui loro volti ogni tanto si apre un sorriso. Che cosa desiderano, lo dicono i disegni appesi alle pareti del Centro di educazione Giovanni Paolo II: una casa in mattoni con il tetto e le finestre, un prato, il sole. Agli italiani in visita alla favela, Mario Gordhilo, presidente del Conder, l'agenzia dello stato di Bahia che si occupa di sviluppo, ha lasciato un compito: «Continuate a collaborare con noi perché l'allegria possa tornare nel nostro popolo».

Andrea Valesini

 

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